Racconti Erotici > Gay & Bisex > A un passo da lui - Parte 2
Gay & Bisex

A un passo da lui - Parte 2


di RagaRiserv87
27.03.2022    |    5.327    |    9 9.7
"Matteo, nel frattempo, si era buttato di peso sul letto, sdraiandosi completamente, lasciando a me quell’ingrato e difficilissimo compito di continuare a..."
«Merda, scusami» esclamò, richiudendo la porta di colpo.

Avevo nascosto quel calzino dietro la schiena, giusto un attimo prima che entrasse, ma mi aveva comunque visto col cazzo in mano, seduto sul water, intento a farmi una sega. Mi sentii sprofondare. Con quale coraggio lo avrei guardato nuovamente in faccia? E se, nonostante avesse richiuso di colpo la porta, si fosse accorto che tenevo tra le mani quell’indumento così personale? Non volevo nemmeno pensarci.

Aspettai qualche minuto prima di trovare il coraggio di uscire. Aprii l’acqua, feci un po' di rumore, rimisi al suo posto l’arma del delitto e, con lo sguardo basso, tornai in soggiorno.
Matteo era seduto nuovamente sul divano, come se nulla fosse, intento a giocare a Fifa sulla playstation.

«Posso usare il bagno, adesso?» mi chiese con una risatina, mostrando il suo solito sorrisetto sghembo che mi faceva perdere il controllo.
«Matteo, scusami…» cercai di giustificarmi «non volevo che…»
«Oh, Manu, ma che scherzi?» mi interruppe lui, ridendo «siamo ragazzi, è normale spararci qualche segotto ogni tanto, magari però la prossima volta fallo in camera tua, così mi eviti di assistere a uno spettacolo così schifoso».

Risi di rimando, nascondendo una nota di amarezza.
Il fatto che avesse giudicato “schifosa” la vista del mio pene in erezione mi feriva, ma del resto era etero, come avrebbe potuto trovare piacevole il mio membro? Almeno non sembrava turbato o infastidito dalla cosa, ed era già tanto.

«Vado in bagno» annunciò, alzandosi «quando torno ti sfido a Fifa. Voglio proprio distruggerti».
«D’accordo, ti aspetto».

Quanto avrei voluto che mi distruggesse davvero, ma non in un semplice videogioco.

I giorni seguenti trascorsero tranquilli, quell’imbarazzante inconveniente non sembrava aver lasciato strascichi tra noi. Mi accorsi, tuttavia, che Matteo stava facendo più attenzione a dove lasciava le sue cose. Non trovai più le sue scarpe in giro e notai che faceva il bucato sempre quando io non c’ero. Che mi avesse visto, in bagno, mentre mi trastullavo con il suo calzino tra le mani? No, era tutto frutto della mia mente. Mi stavo solo creando paranoie inutili. Era sempre stato un tipo molto ordinato, non lasciava mai disordine in giro, la sua precisione non c’entrava nulla con quello che era successo.
O forse sì?

Ad ogni modo il rapporto di amicizia che si era creato tra noi andò a poco a poco intensificandosi. Nonostante la differenza d’età avevamo molti argomenti in comune e, complice il fatto che lui si era da poco trasferito in città e non avesse ancora molti amici, ci trovammo più volte a uscire insieme: lo accompagnai al centro commerciale a comprare delle cose, un pomeriggio facemmo aperitivo ai navigli e, quel sabato sera, andammo a ballare. Ci unimmo a una coppia di mie colleghe che, per tutta la settimana, avevano insistito affinché andassi con loro a una nuova discoteca che si era aperta in centro. Pensai fosse un’ottima occasione per coinvolgere Matteo in una serata adatta a un ragazzo della sua età.

Le mie colleghe, ovviamente, non sapevano di me, del mio orientamento. Ero un ragazzo molto maschile e, anzi, una delle due più volte mi aveva lasciato intendere di provare una debolezza nei miei confronti. Sentimento al quale, chiaramente, non avevo mai prestato il fianco, consapevole del fatto che non sarei mai riuscito a fingere una storia con una donna.

Quella sera Matteo indossava una camicia nera, un paio di jeans scuri e le solite Nike bianche che spezzavano, in qualche modo, l’eleganza di quel completo. Era bellissimo: si era arrotolato appena le maniche della camicia e al polso indossava un bracciale di cuoio nero che lo rendeva ancora più sexy, creando un piacevole contrasto con il suo braccio tatuato. Dal collo della camicia, leggermente sbottonato, si intravedeva una sottile catena d’argento che luccicava seducente sulla sua pelle olivastra. I capelli scuri erano pettinati ordinatamente con la riga di lato, illuminati da un leggerissimo strato di gel. E poi il suo profumo. Si era passato sul collo un paio di gocce di Sauvage prima di uscire, e mi era impossibile stargli accanto senza avere la tentazione di saltargli addosso. Mentre guidavo, per raggiungere il locale, mi incantai a guardare il suo profilo perfetto, il naso dritto e maschile, gli occhi furbi puntati sulla strada. Era un delizioso tormento.

«È proprio carino il ragazzo che hai portato con te stasera» disse Sabrina, la più giovane delle colleghe con cui eravamo usciti «quanti anni ha?»
«Venti» risposi ridendo.
«Maledizione» esclamò lei «se ne avesse avuti almeno cinque di più mi ci sarei fatta volentieri un giro».

E così era quello l’effetto che Matteo aveva sulle donne. E non solo su di loro. Ballava, al centro della pista, e non potei fare a meno di notare come molti sguardi fossero calamitati su di lui. Un gruppo di ragazzine della sua età gli si avvicinò, ma lui non sembrò farci caso più di tanto, preso com’era dal ritmo della musica. Era maschio, in ogni movimento che faceva: un concentrato di testosterone e gioventù che mi faceva impazzire.

«Manu, vieni, beviamo qualcosa» disse, trascinandomi verso il bar.

Lo seguii, riluttante. Non amavo molto bere, ma non volevo pensasse che fossi un adulto noioso. Avevo bisogno di lui, che mi vedesse come un suo pari, che mi trovasse divertente, alla mano.

«Un Japan Ice per me, e tu… cosa prendi?»
«Io, ehm… un Mojito, per favore».

Alzammo i bicchieri e brindammo a quella serata, a quel sabato in compagnia.

Due ore dopo eravamo ancora in pista.
Matteo aveva l’aria di chi aveva bevuto un po' troppo. A quel drink che ci eravamo concessi insieme ne erano seguiti svariati altri. Era giovane, aveva il diritto di divertirsi, ma temetti che avesse esagerato con l’alcool. Era un errore in cui ero incorso anche io più volte in gioventù: la voglia di sballarsi, di lasciarsi andare, avevano talvolta avuto il sopravvento sul buonsenso. Decisi che fosse mio compito fare il “grande” della situazione. Mi avvicinai a lui, lo presi per un braccio.

«Matteo, si è fatto tardi, dobbiamo tornare a casa»
«E dai, Manu, restiamo ancora un po'» mi implorò.

Sembrava un ragazzino in quel momento, con un genitore invadente che cercava di portargli via il divertimento.

«Andiamo, forza» gli dissi, trascinandolo via dalla calca «sei ubriaco perso, domattina ti scoppierà la testa».
«Ok…» cedette «andiamocene…»

Notai che barcollava. Gli misi una mano dietro la schiena per sorreggerlo e ci avviammo verso l’uscita. Salutammo di sfuggita le mie colleghe che, nel frattempo, stavano flirtando con un paio di ragazzi al bar e raggiungemmo la macchina. Aprii lo sportello del passeggero e aiutai Matteo a salire. Avevo sottovalutato le sue condizioni. Quella che credevo fosse una semplice ubriacatura era in realtà una pesante sbornia.

«Ehi, stai bene?» gli chiesi, poggiandogli una mano sulla gamba.

Quel contatto, il tocco della mia mano sulla sua coscia, mi provocò un’erezione immediata. Dovetti sistemarmi il cazzo nelle mutande per evitare che mi facesse male.

«Mmh…» mugugnò lui.
«Ok, andiamo a casa».

Dormì per tutto il viaggio di ritorno, la testa appoggiata al finestrino e un’espressione beata sul viso. Aveva le labbra leggermente socchiuse, dalle quali si intravedevano gli incisivi regolari. Avrei voluto baciarlo e, per un attimo, pensai di farlo, lì, in quella macchina. Mi trattenni a stento.

«Ehi, Matteo, siamo arrivati, svegliati».

Un altro mugugno.

«Ok, ci penso io, aggrappati a me».

Gli aprii la portiera del passeggero e me lo caricai praticamente in spalla, aiutandolo a salire le due rampe di scale che ci separavano dall’appartamento. Lo feci appoggiare al muro mentre aprivo la porta e lo trascinai di peso dentro casa.

«Forza, siamo arrivati, domani mattina ti scoppierà la testa, lo sai? Non avresti dovuto bere così tanto».
«Sì… hai ragione… domani» biascicò lui.
«Ok, sei totalmente fuso. Vieni, ti aiuto a metterti a letto».

Esclamai quelle parole rendendomi conto troppo tardi di ciò che avrebbero implicato per me. Avrei dovuto aiutarlo a spogliarsi, avrei visto e toccato il suo corpo. Come sarei riuscito a resistere al desiderio di stare con lui fisicamente? A quell’impulso che, ormai, mi tormentava da settimane? Cercai di fare appello a tutto il mio autocontrollo.

Entrammo nella sua stanza, accesi il piccolo lume sul comodino, lo feci sedere sul letto. Cominciai a sbottonargli la camicia, mentre il cuore mi batteva a mille e cercavo di fare di tutto per non soffermarmi sulle areole scure dei suoi capezzoli, per non cedere alla tentazione di sfiorarli con le dita. Gli sfilai quell’indumento, lasciando scoperto il suo torace perfetto, i pettorali scolpiti. Gli osservai le braccia, dai muscoli torniti e sodi, quel tatuaggio che smuoveva i miei istinti più perversi. L’aria di fine settembre sembrava più bollente del solito, o forse ero io a esserlo. Avevo caldo, mi sembrava di essere in un forno.

“Manu, calmati” mi dissi “devi stare calmo, o finirai per fare qualche cazzata”.

Matteo, nel frattempo, si era buttato di peso sul letto, sdraiandosi completamente, lasciando a me quell’ingrato e difficilissimo compito di continuare a spogliarlo.

Gli sfilai le scarpe, facendo di tutto per non guardarle, per evitare di tuffarmici dentro, di annusare il loro odore. Poi passai ai pantaloni, glieli sbottonai, abbassai la zip e, sollevandogli leggermente le gambe, glieli sfilai.

Porca puttana.

Matteo era lì, sul letto, in boxer e calzini.
Sentivo, nei Jeans, il mio cazzo farsi sempre più duro, fino al punto di scoppiare. Dovevo andarmene da lì, dovevo andarmene da quella stanza.

«Matteo, ti preparo un caffè» dissi «ti farà sentire subito meglio»
«Mmh».

Corsi in cucina come se stessi scappando da un incendio. Mi misi ad armeggiare con la Moka, cercando di concentrarmi solo su quel compito che stavo svolgendo, di dimenticare quel giovane toro che mi aspettava nella stanza accanto.

Dieci minuti dopo, quando tornai di là, con quella tazza calda tra le mani, Matteo stava già dormendo. Russava profondamente, il petto che si alzava e si abbassava al ritmo del suo respiro regolare. Poggiai la tazza sul comodino e gli posai una mano sulla gamba, scuotendolo leggermente con l’intenzione di svegliarlo.

«Ehi, tirati su, ti ho portato il caffè».

Nessuna risposta.
Mi sedetti sul letto accanto a lui e iniziai a osservarlo. In fondo che male avrebbe fatto se fossi rimasto qualche minuto lì con lui a rifarmi gli occhi?

La luce soffusa della lampada da notte creava ombre peccaminose sul suo corpo, tra i solchi degli addominali, tra l’incavo delle sue ascelle. Mi stavo facendo del male, ma non riuscivo a toglierli lo sguardo di dosso. Gli passai una mano sulla gamba, scorrendola leggermente dal quadricipite al ginocchio. Un tocco leggero, facendo attenzione a non svegliarlo. Sentii la sottile peluria delle gambe solleticarmi le dita mentre, dentro le mutande, le palle sembravano ormai scoppiarmi.

Matteo non reagiva a quelle mie attenzioni, era profondamente addormentato. Mi feci coraggio e decisi di osare oltre. Mai più mi sarebbe capitata un’occasione del genere, mai più avrei avuto la possibilità di godere in maniera così libera del suo corpo perfetto. Mi spostai di qualche centimetro verso la punta del letto e, abbassandomi verso di lui, avvicinai il viso ai suoi piedi, coperti da eccitanti calzini neri con il logo della Nike. Aspirai il loro odore, lasciandomi inebriare da quel profumo virile che emanavano.

Ormai non potevo fermarmi, non ne avevo più la forza, i miei sensi parevano essere del tutto fuori controllo. Infilai le dita tra la sua pelle e la stoffa e, con un movimento delicato ma deciso, gliene sfilai prima uno e poi l’altro. Il cuore pareva volermi uscire fuori dal petto mentre passai un dito sull’arco perfetto dei suoi piedi, mentre avvicinavo la mia bocca a quelle dita lunghe, affusolate. Presi l’alluce tra le mie labbra, iniziando a leccarlo, prima dolcemente, poi in maniera sempre più avida. Matteo sembrò sussultare nel sonno e, per un attimo, mi staccai dal quella fonte di piacere, ma lui, dopo qualche respiro più veloce, continuò a dormire placidamente. Ripresi da dove avevo interrotto, passando la lingua tra le sue dita, baciandole, leccando ogni centimetro di quei piedi meravigliosi. Ero affamato, lo volevo a tutti i costi.

La mia spudoratezza crebbe e, con ritrovato coraggio, risalii con la mano dalla caviglia al ginocchio, e poi sempre più su, verso la fonte della sua mascolinità, verso quella collina perfetta che aveva tra le gambe. Poggiai, con delicatezza, una mano sul tessuto dei suoi boxer. Nel frattempo mi ero sbottonato anch’io i pantaloni, il mio cazzo era duro come il marmo. Lo tirai fuori, lasciandolo svettare, la cappella viola e turgida finalmente libera.

Il cazzo di Matteo invece era moscio, ma già dai boxer mi resi conto che aveva molta sostanza. Con un ultimo atto di fede gli tirai giù le mutande, liberando il suo sesso, godendomi in tribuna d’onore quello spettacolo incredibile.

Mio Dio.

Mi mancò il respiro quando vidi per la prima volta i suoi genitali perfetti. Il pene, di dimensioni considerevoli ma non eccessive, giaceva a riposo, adagiato su un lato, a contatto con la sua gamba. Non era circonciso, la cappella era seminascosta dal prepuzio. Era bellissimo, di un colore leggermente ambrato, come la sua carnagione. Ma ciò che mi colpì più di ogni altra cosa furono i suoi coglioni. Erano grossi, potenti, simmetrici. Due palle enormi che lo resero, ai miei occhi, ancora più maschio, ancora più virile. Ne saggiai la consistenza con le mani. Aveva dei testicoli grandi come noci, a stento riuscivo a tenerli tutti in una mano. Mi avvicinai ulteriormente e annusai l’odore di testosterone che emanavano. Ero inebriato, ipnotizzato da quella vista. Immersi il naso tra le sue palle, cominciai a succhiarle.

Ormai avevo perso ogni inibizione. Non mi importava più se Matteo si fosse svegliato, se si fosse incazzato come una bestia e mi avrebbe preso a pugni. Volevo averlo, con tutto me stesso. Gli scoprii il prepuzio e presi la sua cappella rosa in bocca, baciandola prima con dolcezza e poi infilandomela in bocca. Era leggermente salata, sapeva di uomo, sapeva di lui.

A mano a mano che succhiavo, sentivo il suo cazzo inturgidirsi e il respiro farsi sempre più veloce. Si stava svegliando, ma non mi importava. Continuai il mio lavoro mentre il suo cazzo, a poco a poco, diventava di marmo. Me lo tolsi dalla bocca e lo vidi svettare in tutto il suo vigore, la cappella lucida e pulsante con una minuscola gocciolina di liquido che gli imperlava il glande. La succhiai via avidamente. Fu allora che la mano di Matteo, inaspettatamente, si posò sulla mia testa, afferrandomi per i capelli, guidando il ritmo di quel pompino secondo le logiche del suo piacere, del suo godimento.

Non potevo crederci: era sveglio e, invece di prendermi a schiaffi, stava godendo di quel sesso orale che gli stavo praticando, mi stava facendo suo, come un vero maschio. A un tratto allentò la presa e sfruttai l’occasione per avventarmi sulle sue palle, cercando di prenderle tutte in bocca, succhiandole con avidità mentre continuavo a segarlo. Matteo inarcò la schiena e rovesciò gli occhi all’indietro, al culmine del piacere.

Ero sempre stato dell’opinione che una leccata di coglioni, fatta nel modo giusto, provocasse più piacere che il pompino stesso e Matteo, in quel momento, me ne stava dando la conferma. Era totalmente soggiogato dal lavoretto che gli stavo praticando. Ansimava forte, gemendo con la sua voce roca che, fin dal primo momento, mi aveva fatto impazzire. Era un sogno: stavo facendo godere quel giovane maschio e lui sembrava apprezzare. Neanche nei miei desideri più rosei avrei osato immaginare tanto.

Continuai a lavorarlo con dedizione, alternando la mia lingua tra cazzo, palle e culo. Lui contraeva ritmicamente mani e piedi, completamente pervaso dal piacere. A un tratto mi prese nuovamente la testa, la guidò sul suo cazzo e, con movimenti decisi, me lo affondò in gola. Gli presi le palle tra le mani, godendomi quella sensazione di pienezza mentre lui faceva su e giù scopando la mia bocca.

Continuò a pompare, con movimenti sempre più forti e veloci. Sentii le sue palle contrarsi tra le mie mani, i testicoli risalire lo scroto e, prima che potessi rendermi conto di ciò che stava accadendo, un copioso fiotto di sperma mi invase la bocca, seguito a ruota da un altro, un altro, e un altro ancora. Quei grossi coglioni sembravano non voler smettere più di produrre sborra.

Mi trovai la bocca piena del suo seme, della sua virilità. Non potevo crederci. Il contenuto delle palle di Matteo era nella mia bocca, ne potevo sentire la consistenza sulla lingua, il sapore leggermente salato e amarognolo. Volevo ingoiarlo, ma la sensazione che mi dava averne la bocca piena era ancora più forte. Lo trattenni, quindi, ancora per qualche secondo prima di nutrirmi della sua mascolinità, di lasciarla penetrare in me.

Fu in quell’istante che venni anche io, copiosamente, sporcando di sperma il letto e il pavimento. E fu allora che Matteo mi sorprese con una frase che, dopo il coinvolgimento con cui aveva accettato le mie attenzioni e goduto della mia bocca, mi lasciò totalmente di stucco.

«Che cazzo hai fatto, frocio!»
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore. Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Votazione dei Lettori: 9.7
Ti è piaciuto??? SI NO


Commenti per A un passo da lui - Parte 2:

Altri Racconti Erotici in Gay & Bisex:



Sex Extra


® Annunci69.it è un marchio registrato. Tutti i diritti sono riservati e vietate le riproduzioni senza esplicito consenso.

Condizioni del Servizio. | Privacy. | Regolamento della Community | Segnalazioni